Le campagne, il voto al Rassemblement national. E la sinistra che non c’è. Appunti
Le campagne hanno votato per il Rassemblement National, le città per il Nuovo Fronte Popolare?
Conservatorismo contro progressismo? La realtà viene raccontata così, un po’ dappertutto: una visione parziale e binaria che, ancora una volta, contribuisce a produrre, modellare, l’idea di società che viviamo e, per finire, la società stessa.
Questa storia si potrebbe scrivere diversamente: sì, il voto per Jordan Bardella è più forte nelle zone non urbane, ma questo non significa che chi vive in campagna vota il Rassemblement National par default. Né che l’urbanità è progressista par default.
«Si fa spesso la confusione tra correlazione e causalità», dice il geografo Olivier Bouba-Olga a Le Monde: «Le differenze di voto tra centri urbani e aree rurali non si spiegano con la natura urbana o rurale dei comuni, ma con differenze nella composizione sociale — livello di istruzione, reddito, generazione, genere - nella storia dell’area, nel tessuto economico o nelle condizioni di lavoro». In altre parole: «Se si confronta il voto rurale con quello urbano a parità di livello di istruzione e di fascia d’età, non c’è praticamente nessuna differenza».
Il sociologo Benoît Coquard (ne avevo parlato qui) che di ruralità è un esperto, spiega che il voto al RN è un effetto della morfologia sociale delle campagne francesi dove le categorie di persone a basso livello di studi è sono più presenti rispetto ai centri urbani: chi ha una laura lascia questi territori. E’ la concentrazione sociale — o l’assenza di diversità politica — che, secondo Coquard, produce questa egemonia del RN, la «legittimazione» di cui ha già parlato altrove.
La sinistra? Non la si sente. E’ assente sul territorio: «è invisibile. Non solo non si vede — non c’è una rete di militanti — ma i suoi risultati non sono tangibili», continua Coquard.
Su Mediapart, nel 2022 (elezioni dalle quali il RN aveva ottenuto 89 seggi) Coquard spiegava: «A partire dagli anni ’90, abbiamo assistito a un’impennata dell’estrema destra nelle aree rurali deindustrializzate, dove c’è anche una sovrarappresentazione di persone con minori qualifiche, che notoriamente votano di più per l’estrema destra».
«Mi pare sempre un po’ fuorviante cercare di specificare il voto rurale», continua Coquard, «come se avessimo a che fare con una realtà completamente diversa, con una popolazione che è per natura diversa dalle altre… Il problema principale dell’elettorato rurale e operaio è il potere d’acquisto; questo è un punto in comune con i membri di queste classi sociali che vivono altrove rispetto alla campagna».
Se le campagne non sono mai state, spiega Le Monde, il territorio dove la sinistra era più forte in generale (la destra gollista o di ispirazione cristiana ha sempre avuto più peso), dice il sociologo Ivan Bruneau sul quotidiano, «la SFIO [Sezione Francese dell’Internazionale operaia] e il PCF [Partito Comunista francese] erano radicati in alcune zone del Limousin, dell’Allier, della Dordogna, del Sud Rosso, della Bretagna e delle zone minerarie della Lorena».
E guardando le carte, non tutte le campagne sono uguali.
Ad esempio il Finistère. Sebbene il RN stia facendo progressi ovunque, anche nei comuni del centro del dipartimento che sono ancorati alla sinistra, ci sono comunque delle differenze: «La sinistra resiste meglio dove può contare su una lunga storia e dove i comuni stanno meglio economicamente», spiega Ivan Bruneau.
«Non c’è un’inevitabilità storica nel voto rurale, così come non c’è un territorio geneticamente di destra o di sinistra», concorda il sociologo Raphaël Challier.
La frattura tra la sinistra e le campagne è immensa
Su Reporterre, Juliette Rousseau (autrice, giornalista e attivista femminista e ambientalista — La Vie têtue ) che vive a Ille-et-Vilaine (Bretagna) scrive: «La frattura tra la sinistra e le campagne è immensa, quasi totale. Anche nelle poche aree rurali storicamente di sinistra, come le Côtes-d’Armor, ex roccaforte comunista, o la Loira Atlantica, culla di agricoltori e della lotta contro l’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes, ora c’è il Rassemblement National. Tuttavia, questa spaccatura non è una novità e credo che possa essere attribuita ai molti modi in cui il nostro schieramento politico è responsabile della situazione attuale. Per “sinistra” intendo la sinistra dei partiti politici, ma anche la sinistra della produzione intellettuale, teorica e persino culturale. Per troppo tempo, le zone rurali sono state un’area a cui la sinistra non pensa, a cui non si interessa.»
Camille Bordenet e Julie Carriat su Le Monde, spiegano: «Sebbene non ci sia mai stata un’età dell’oro per la sinistra rurale, e la sinistra non sia mai stata “molto a suo agio nelle zone caratterizzate da agricoltura, artigianato, negozianti e piccoli pensionati”, aveva comunque avuto un ”posto lì , una voce che veniva ascoltata, molto spesso criticata, ma rispettata”, racconta Rémi Branco nel suo libro Loin des villes, loin du cœur. Su questa storia travagliata incombe anche l’idea che la campagna sia intrinsecamente conservatrice».
C’è in questo modo di raccontare, un “bias urbano”, che non è certo nuovo nella storia francese: «Dire oggi che una circoscrizione rurale è stata vinta dalla RN quando il 50,01% di essa ha votato per la RN, senza tener conto delle astensioni e dell’aggiunta dei voti alle spalle, è come quando, nel XIX secolo, i repubblicani urbani consideravano che i contadini avessero votato bonapartista ‘in blocco’, ignorando le campagne repubblicane e socialiste”.
Su Le Monde, la giornalista Camille Bordent spiega: «Dietro questa opposizione rurale-urbano, c’è il rischio di alimentare la visione binaria che è fondamentale per l’estrema destra. Quest’ultima sfrutta opportunisticamente l’idea di una frattura territoriale e di una competizione blocco contro blocco tra, da un lato, una Francia rurale e suburbana “periferica” (per usare l’espressione resa popolare dal controverso geografo Christophe Guilluy), perdente nei confronti della globalizzazione, abbandonata dallo Stato e minacciata nei suoi valori tradizionali; e, dall’altro, una Francia metropolitana vincente e privilegiata. Anticipando questioni politici come il motore a combustione, la caldaia a gasolio e le zone a basse emissioni, la RN si posiziona come difensore di uno stile di vita francese, presumibilmente minacciato da un’ecologia “punitiva” e da valori “woke” associati alle metropoli»;
Questa visione si struttura, si incarna, portata dai media, portata dalle analisi, ma non corrisponde al vero della complessità dei territori e delle vite.
Sempre su Le Monde, il geografo Olivier Bouba-Olga, sostiene che la sinistra deve essere capace, di de «produrre un nuovo modo di raccontare la complementarietà dei territori».
« Thibault Lhonneur in una nota per la Fondation Jean Jaurès (citata da Le Monde) avanza alcune idee, a partire dalla difficoltà di dare un nome a questi territori eterogenei lontani dalle grandi città. “Diagonale du vide”, “France périphérique”, “des bourgs”, “des sous-préfectures”, “des pavillons”, “des barbecues”, “périurbaine”, “la ruralité”: tante scorciatoie caricaturali che, a forza di ripetersi, strutturano le rappresentazioni e impediscono alla sinistra di produrre un “immaginario politico desiderabile”. Al contario invece, indica i “quartieri popolari” come un modo per “produrre una narrazione e delle proposte».
Sempre Juliette Rousseau nella sua riflessione su Reporterre: «La sinistra francese — che dovrebbe essere il campo dell’emancipazione — ha una responsabilità storica nell’alienazione delle aree rurali: per la sinistra, con rare eccezioni, le campagne sono rimaste soprattutto luoghi da educare, da salvare da se stesse. Non è stata in grado di pensare o difendere l’emancipazione al di fuori del quadro dell’assimilazione all’urbano, percepito come forma ultima di modernità. Ancora oggi, come ci ricorda la geografa Valérie Jousseaume, la ruralità è per lo più percepita come una forma degradata dell’urbano».
C’è, secondo Rousseau, nella vita “rurale” un modo di condivisione dello spazio e delle risorse, una forma di socialità che
«Paradossalmente, se non trasforma le popolazioni rurali in elettori di sinistra, credo che la sinistra trarrebbe beneficio dall’ispirarsi ad esso. Ho sempre creduto nella vita in comune, nell’incontro e nell’organizzazione con chi è geograficamente vicino a noi. È anche una cosa da “camapagnoli” (plouc”), che voglio reclamare e rivendicare per me. Le scienze sociali lo definiscono “effetto luogo” (“effet de lieu”), ovvero una profonda interdipendenza e interconoscenza legata a un luogo condiviso».
«In altre parole, dobbiamo pensare a come trasformare la realtà dei territori in cui operiamo, trovando un equilibrio tra il conflitto aperto con le idee dell’estrema destra e un’intelligenza relazionale che preservi i nostri contatti sociali (nelle associazioni sportive, nei gruppi di genitori, nei mercati, con i vicini, ecc.) Abbiamo una forza: agiamo nel luogo in cui viviamo, e questo ci dà una legittimità e un’intelligenza superiori a quelle delle logiche di apparato che abbiamo visto all’opera, ad esempio, nella nomina dei candidati. Credo che possiamo imparare molto da questo momento difficile. A livello locale, ci ha permesso di rinnovare e ampliare le nostre reti di contatti
(…)
Dobbiamo mettere al centro della questione l’antirazzismo e lavorare per sfatare l’idea che l’appartenenza rurale sia principalmente una questione di radici, di una “Francia eterna” in cui terra, sangue e identità culturale sono “naturalmente” legati. Costruire e rafforzare le reti di solidarietà tra e con coloro che sono messi in pericolo da questa visione razzista del mondo. Riappropriarsi delle tradizioni e riportarle in vita, in movimento, per ricollegarsi a quelle che il patriarcato, il capitalismo o il nazionalismo hanno cancellato e che possono alimentare l’emancipazione da questi sistemi di oppressione. Dobbiamo anche affrontare la questione della produzione, da e con coloro che la lavorano. E molto altro ancora».