Le basi del voto al Rassemblement National: razzismo, territorio, società, conformismo(appunti)
Il voto al RN non è un voto di individui isolati o atomizzati, non è un voto di chi sente senza voce. Il razzismo gioca un ruolo centrale, in un modo di fare società e di creare legame.
Sul lavoro di Benoît Coquard e Félicien Faury.
Due sociologi sono stati intervistati nella maggior parte dei media francesi nelle ultime due settimane, in seguito alla dissoluzione dell’Assemblea nazionale, e per una “fortuita” coincidenza di uscita in libreria e situazione politica.
Benoît Coquard, è sociologo all’Istituto nazionale per la ricerca sull’agricoltura, l’alimentazione e l’ambiente (Inrae), è autore di Ceux qui restent (Quelli che restano, La Découverte, 2019).
Félicien Faury, ricercatore in post-dottorato presso il Centro di ricerca sul diritto e le istituzioni penali (Cesdip), ha da poco pubblicato, Des électeurs ordinaires (Degli elettori ordinari, Seuil, 2024).
Entrambi lavorano sulle zone geografiche dove il Rassemblement National (RN) è particolarmente forte.
Benoît Coquard scrive sulle campagne deindustrializzate del Grand Est; Félicien Faury ha impostato la sua ricerca nella regione del Sud-Paca (Provenza-Alpi-Costa Azzurra). Due regioni diverse, per modi e tenore di vita. Gruppi sociali diversi anche. L’oggetto di studio dei due ricercatori è diverso: per Faury, si tratta dell’atto di voto, per Coquard del legame sociale.
Mediapart pubblica un’intervista incrociata a pochi giorni dal primo turno delle elezioni, domenica 30 giugno. Ne riporto alcune parti, le incrocio con altre fonti. Se non indicato diversamente le citazioni vengono da Mediapart.
Cosa ci dicono? Il gruppo sociale resta centrale
I risultati elettorali del RN non sono una sorpresa, si tratta di curve in aumento da una ventina d’anni: «Da diversi anni notiamo che, anche in un contesto di alto astensionismo, il RN ha continuato a mobilitare i suoi elettori», dice Faury. Al punto che «si è consolidato un nucleo elettorale potente».
Entrambi, nelle rispettive zone, avevano chiara la percezione dell’egemonia del RN. Oggi, aggiunge Coquard, «si fa sentire (l’RN) con maggiore forza a livello nazionale e alle urne, e anche attraverso il modo in cui Emmanuel Macron ne ha fatto il suo avversario principale».
Entrambi insistono su un fatto, che sentiamo ripetere — che ripetiamo — spesso, e che rappresenta un assunto da rimettere in discussione: il voto al RN non è un voto di individui isolati o atomizzati.
Un voto di “buon senso”
Coquard, che lavora proprio sul «senso di appartenenza nelle città deindustrializzate», dice di aver osservato «delle forme di chiusura (repli in francese, ndr) ma non di individualismo. Le classi popolari non hanno il lusso dell’individualismo. Non si tratta di legami deboli, ma di una coscienza collettiva che si struttura intorno a un piccolo numero di persone, omogenee nella loro visione del mondo e che pensano di potersi aiutare a vicenda. Questa osservazione etnografica è confermata da importanti indagini sociologiche condotte in Europa. Questi studi stabiliscono una correlazione tra la fiducia in un numero ristretto di persone e il voto per l’estrema destra».
C’è inoltre una questione di gruppo sociale, spiega Coquard su Basta: «Le persone che frequenti e delle quali ti fidi sono come dei “leader d’opinione”. Se votano RN lo legittimano. Stessa cosa per i media, che hanno legittimato il voto RN».
Su Frustation Coquard aggiunge: «Ma soprattutto, credo che dobbiamo capire il voto in relazione al modo in cui le persone costruiscono le loro relazioni sociali. Quando si è in un “milieu populaire’’, si è segnati dal controllo sociale: essere visti come “bravi”, avere una buona reputazione. Che si viva in un quartiere popolare di una piccola città o di un villaggio, il controllo sociale è permanente. Quindi sai quanto sia importante conformarsi, adattarsi alla norma. Non solo le persone intorno a voi parlano da tempo del RN, ma a livello nazionale votano massicciamente per la RN. Si tratta quindi di un voto che diventa di buon senso, e questo lascia ancora margine per aumentare tra gli indecisi, perché si è circondati da persone che promuovono la RN».
In qualche modo, un voto che viene spesso descritto come “contestatario” in realtà è un voto di conformismo: «Sul mio terreno, vedo questa dinamica che fa si che ci si sente incoraggiati dall’ambiente sociale, comprese le persone che ti dominano socialmente (a livello locale potrebbe essere un piccolo imprenditore, per esempio) e , in televisione, persone in giacca e cravatta che spiegano che il RN è ‘buono’… C’è un allineamento dietro l’opinione della maggioranza, o meglio, dietro l’opinione dominante».
Il voto che fa gruppo
Faury ha come terreno di analisi proprio l’atto del voto, e più in generale cosa è politicizzato o “elettoralizzato” nella vita delle persone. Secondo lui, anche nella «cabina elettorale, continuiamo a votare come gruppo, come le persone che sentiamo vicine socialmente».
La cosiddetta “normalizzazione” del RN, di cui tanto si discute in Francia — e che è una questione che riguarda in maniera particolare la storia di questo paese — secondo Faury riguarda anche questo: «Un voto diventa legittimo, (fatto) insieme a coloro che contano e che hanno autorità intorno a te».
Una forma sociale, quindi.
«Potremmo essere portati a pensare che sia la mancanza di istituzioni e di “sociale” a portare le persone a rinchiudersi su se stesse e a diventare razziste. E’ triste a dirsi, ma anche il razzismo è un legame sociale. Esistono delle forme di sociabilità che alimentano e autorizzano l’espressione della parola razzista».
Il discorso, appunto, che cerca di spiegare il voto all’estrema destra con l’atomizzazione sociale o con la debolezza dei legami sociali per Faury è una sorta di «battuta in ritirata» per la sociologia. I legami sociali ci sono sempre e comunque, bisogna capire «con chi e rispetto a cosa».
Che legami sociali crea o supporta il voto al Rassemblement National?
Quando si parla di “repli”, di “chiusura”, “ripiegamento su se stessi”, Faury sottolinea l’importanza dei/del diploma, delle qualifiche scolastiche: «Si tratta di un bene immateriale, santificato dallo Stato, che offre opportunità di “viaggiare socialmente”. C’è una sorta di sicurezza simbolica che si sposta con voi quando entrate in contatto con altri gruppi sociali. Quando non si ha questa sicurezza, come spesso accade agli elettori della RN, le radici locali e il patrimonio materiale diventano particolarmente importanti: da qui il grande impatto emotivo dei furti, per esempio».
Coquard ha riscontrato la stessa dinamica: «Più si è diplomati, più è facile lasciare la campagna, meno si è vincolati dai problemi di reputazione che vi prevalgono e meno si soffre di eventuali declassamenti territoriali. Quando tutte le risorse sono locali, è molto diverso. Si è molto più esposti all’idea di estrema destra secondo la quale bisogna far “passare” o “sostenere” persone esattamente come te, altrimenti non ce la farai mai. Questo è uno degli aspetti che mi fa pensare che le persone che hanno aderito a questa idea voteranno RN per molto tempo».
Territorio e razzismo
Anche nel Sud-Paca predomina l’idea l’incertezza economica generale, ma le persone intervistate da Faury non sono fragilizzate dal punto di vista lavorativo (hanno un impiego), non hanno la percezione di subire un declassamento individuale; la loro percezione è quella di un declassamento collettivo, c’è l’idea di un degradazione generale: del quartiere, del comune, della regione… Il Sud-Est della Francia resta ancora oggi un territorio attrattivo, anche se attraversato da forti disuguaglianze, sociali e territoriali. I residenti possono percepire una sorta di invasione d’alto, delle “classi superiori”.
Va detto che spesso si parla di voto al RN per le classi popolari e per gli operai del Nord. Parlare alle classi medio-piccole del Sud Est è una delle novità della ricerca di Faury: «Queste persone hanno l’impressione che l’ordine esistente — sociale e razziale — stia vacillando. E poiché beneficiano di questo ordine, ed è loro familiare, vogliono preservarlo, e questo è ciò che alimenta il loro voto. C’è quindi c’è sia una dimensione di protesta che una dimensione conservatrice nel voto RN. (…) Dal punto di vista della classe sociale, queste persone sono ancora, generalmente, dalla parte dei “dominati”, ovvero le classi lavoratrici o medie, che subiscono forme di retrocessione economica. In termini di disuguaglianze etno-razziali, fanno parte del gruppo maggioritario e sono in una posizione di potere rispetto ai confini razziali che strutturano la società francese», spiega Faury al giornale Basta.
Si tratta, secondo Faury, di persone che anche se hanno “aspirazioni xenofobe” non hanno i mezzi per cambiare il proprio quadro di vita e non beneficiano (come fanno invece classi sociali superiori o maggioritarie) delle disuguaglianze etno-razziali che fanno parte della società francese. «Questo solleva interrogativi sulla definizione di razzismo: è solo una questione di atteggiamento o anche di potere? Se si tratta di una questione di potere, allora è un razzismo che è impotente sotto molti aspetti. Può essere molto esplicito nella sua retorica, ma impotente nelle sue azioni. E il voto del RN è spesso l’unico potere che gli rimane, come una sorta di ultima risorsa xenofoba».
Coquard ha lavorato sulle popolazioni rurali che non possono, secondo lui, rientrare nella categoria di “classi popolari bianche” che a volte viene usata per descriverle. Si tratta di gruppi che costruiscono dei modelli di stile di vita che si percepiscono in opposizione, che struttura una mentalità “insulare” del tipo “siamo padroni a casa nostra”.
Nel caso di Coquard tutto quello che è sinistra viene associato dalle persone che ha intervistato a dei “casi sociali”, a dei perdenti, persone che “non hanno voglia di far niente”. Il razzismo arriva dopo, la qualificazione di “arabi” per esempio. «Le questioni sociali sono razzializzate e le divisioni sociali tra “precari” e “stabili” funzionano ancora meglio proprio perché sono razzializzate».
«La crisi del 2008 ha avuto un forte impatto, con le delocalizzazioni e le ristrutturazioni. Non ci sono molti posti di lavoro “buoni” sul mercato e le persone sono in competizione tra loro per ottenerli. Nella mia indagine ero particolarmente interessato ai giovani: quando si ha 25–30 anni, quando si è stati in una situazione di precarietà, quando si è stati chiamati “sfigati”, pigri o assistiti perché disoccupati da sei mesi, si ha paura di questa etichetta, di essere “tra i senza valore”. Sapere che esiste un’offerta politica che permette di respingere questo stigma sugli altri funziona molto bene», aggiunge Coquard su Basta.
«Il “noi” dei lavoratori di allora, quando votavano più ampiamente a sinistra, era più un “noi” d’onore e d’orgoglio. C’era la prospettiva che dicendo “noi lavoratori” si era più forti contro i padroni. Con il voto al RN, il “noi” è diventato un “contro di loro”. Si definiscono negativamente, nel senso di “non siamo quelli più in basso tra i più bassi”, “non siamo i più stigmatizzati”, “non siamo gli immigrati”».
Il sentimento contro gli “assistiti” è molto presente anche nella ricerca di Faury: «Ho riscontrato un fortissimo sentimento “anti-assistenziale”. E, quando lasci la parola libera, il sentimento è particolarmente esacerbato quando le persone prese di mira sono anche identificate come “immigrati”, giudicate “meno francesi” di altri. Durante la mia ricerca ho notato che la critica all’assistenzialismo è particolarmente politicizzata, con questo doppio fattore. Cerco di porre la questione del razzismo non in termini della sua presenza o meno, ma di guardare che forme che assume e in che modo in cui si relaziona alle esperienze sociali concrete».
La questione è complessa, e Faury si chiede per esempio anche che peso dare alla dimensione razzista nella sua ricerca, e come presentarla al pubblico e ai media: «Il fatto di aver lavorato principalmente sulle classi medie, e non sul voto della classe operaia al RN, può aver contribuito a permettermi di usare il termine “razzismo” e di metterlo al centro dei miei studi. Il significato comune (e non sociologico) del termine è associato alla stupidità e all’arcaismo, usarlo o meno può contribuire alla stigmatizzazione dei gruppi subalterni».
Ma non parlarne sarebbe un errore, perché è presente.
«Cerco di insistere sempre sul carattere trasversale del razzismo, che esiste in tutti le classi, compresa la borghesia culturale di sinistra. Ma questa parte del mio ragionamento spesso non viene ripresa dai media… ».
Su Basta Faury aggiunge: «Allo stesso modo del sessismo, il razzismo è presente in tutti gli ambienti sociali, compresa la borghesia. Quindi non si può spiegare con la povertà. È piuttosto una questione di interesse sociale, legato a determinate esperienze di classe».
Sul razzismo Faury torna lungamente su Basta : «Sulla questione dell’immigrazione, e più in generale sulla questione razziale, le ricerche non rivelano differenze significative tra Nord e Sud, o tra gli elettori della classe operaia e quelli della classe medio-bassa. La questione del rifiuto degli immigrati è trasversale a tutto l’elettorato lepénista».
Sul razzismo, sempre su Basta, Coquard aggiunge: «Ho sentito commenti razzisti e xenofobi, in particolare islamofobici, in ogni categoria sociale che ho incontrato, da persone che votano a sinistra e a destra. Non tutti votano in base alla xenofobia che esprimono (…) . Le persone con le quali ho lavorato formano dei gruppi sociali anche con persone razzializzate, che formano quindi uno stesso gruppo con persone di origine non immigrata, che votano per il RN. Esistono strategie di aiuto reciproco e amicizie concrete tra persone che possono esprimere quotidianamente un rifiuto degli stranieri e allo stesso tempo essere amici di persone razzializzate. Questo paradosso esiste davvero.»
Segnalo un’osservazione di Coquard su Basta: «Se c’è una aspettativa, è quella di guadagnare di più, di essere pagati di più. È avere più ospedali, poter partorire senza dover guidare per più di un’ora. Questo è essenziale, questo era fa parte del “prima era meglio” (…) l problema fondamentale, a mio avviso, è che dal punto di vista demografico ed economico si sta facendo di tutto per far sì che le persone provenienti dalle campagne, dai piccoli centri, dalle periferie e dalle piccole città, che hanno un’estrazione sociale che le porta a essere più di sinistra, siano costrette a lasciare queste zone. I laureati si trasferiscono in città o in zone rurali dove ci sono già laureati che votano a sinistra. Questa logica di concentrazione di persone che si assomigliano rende più difficile la democrazia dal basso. Il tipo di democrazia reale che vi permetterebbe di ascoltare le diverse proposte politiche intorno a voi in modo incarnato e concreto: non necessariamente proposte elettorali, ma proposte su come possiamo aiutarci a vicenda, come possiamo lavorare insieme per cercare di cambiare la vita, di migliorarla. Non per peggiorarla. È questo il senso della vera politica».
Sul quotidiano cattolico La Croix un intervento merita riflessione: il sociologo Yann Raison du Cleuziou spiega la difficoltà che ha avuto di fronte alle tante petizioni/lettere/tribune di intelluali che sono state pubblicate in vista del ballottaggio per le legislative per opporsi al RN.
«Al primo turno delle elezioni legislative, il 37,2% dei voti, nel villaggio rurale in cui sono cresciuto è andato al RN, il 47,39% laddove ho fatto la scuola primaria, il 30,16% dove ho fatto il liceo, e il 69,94% nel luogo in cui trascorro le vacanze. Un mondo popolato da abitanti delle campagne, operai, impiegati e disoccupati. Un mondo descritto come quello dei “poco istruiti”. Il profilo degli elettori della RN mi ricorda la mia differenza», scrive. Un mondo lasciato per fare degli studi, accumulando, seguendo Bourdieu, un capitale economico, sociale e culturale: la distanza che marca questo passaggio, con l’allontanamento dai luoghi ove non è più possibile risiedere perché