Hackerare un McDonald’s durante la Peste: L’Après-M a Marsiglia

Francesca Barca
6 min readApr 25, 2021

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La storia del McDonald’s di Saint-Barthélémy, nei “Quartieri Nord” di Marsiglia: fortemente sindacalizzato, dopo anni di lotte è stato liquidato. Durante il primo lockdown è stato «requisizionato» e trasformato in piattaforma di sostegno e distribuzione alimentare. Articolo pubblicato su Il Mulino.

«Una città strutturalmente iniqua» così, Eric Semerdjian, esperto in sviluppo economico, ha definito Marsiglia. Qui, «il 10% delle famiglie più ricche guadagna oltre 15 volte di più di quelle più povere», scrisse nel 2019 l’economista Philippe Langevin. Il 25% della popolazione di Marsiglia (in media sull’intera città, che ha un’estensione doppia rispetto a quella di Parigi e una popolazione di circa 1,6 milioni di persone) vive sotto la soglia di povertà: il dato, già enorme, si scontra con quello di alcuni dei suoi arrondissement dove sale fino al 50 o al 60%. I “Quartieri Nord” ospitano circa un terzo della popolazione della città e le maggiori disuguaglianze: qui si trova Saint Barthelemy, cinque chilometri dal centro, tra il XIII e il XIV arrondissement.

Una rotonda, un’autostrada urbana da un lato, una nazionale, dall’altro. Un MacDonald’s, come tanti, in una posizione di passaggio di veicoli in mezzo a delle cité, gli abitati tipici delle banlieues francesi. I soli commerci che ho incontrato, arrivando, sono un ristorante kebab e una farmacia. Non solo non ci sono bar o ristoranti, non c’è una piazza.

I colori sono cambiati, l’insegna trasformata: sparito il verde, il rosso e il giallo: tutto è lilla, azzurro e rosa. L’insegna ha mantenuto la M: “L’après M” (letteralmente il “dopo M”, gioco di parole tra “dopo MacDonald’s” e acronimo di “Association di prefigurazione per uno stabilimento economico e sociale”) è il nome che porta oggi il McDonald’s di Saint Barthelemy. Il ristorante è stato chiuso nel dicembre 2019 in seguito a una liquidazione giudiziaria voluta dalla direzione: 77 dipendenti sono stati licenziati, tranne uno, Kamel Guemari, che è tra i fondatori del progetto e garante del posto. Il McDonald’s di Saint Barthelemy è stato “requisizionato” da un gruppo composto da volontari, collettivi, attivisti e dal Sindacato dei quartieri popolari di Marsiglia (SQPM).

«Più che di requisizione bisognerebbe parlare di riappropriazione», dice Julien (nome cambiato, ndr), perché «lo spazio su cui sorge il ristorante è sempre stato usato dalla popolazione. Prima c’era una stazione di servizio: già allora, era la zona dove «gli anziani si trovavano per bere il caffè». Dall’apertura del fast-food, il mercoledì pomeriggio erano i bambini: «Non ci sono altre aree giochi qui: le famiglie venivano con i figli per fare i compiti; le mamme compravano una bottiglia d’acqua per poter usare i tavoli».

E soprattutto — e questo spiega la peculiarità — questo McDonald’s è una zona di lotta sindacale praticamente dall’apertura, all’inizio degli anni Novanta: «I lavoratori si sono organizzati velocemente per migliorare le loro condizioni. A tal punto che questo era uno dei McDonald’s con le migliori condizioni di lavoro in Europa: tredicesima, rivalorizzazione delle notti, complemento salute pagato al 95% dall’azienda… c’è stato un momento in cui l’azienda pagava il taxi ai dipendenti quando non c’erano i bus. Sono i frutti della lotta dei lavoratori», mi dice Julien mentre mi fa visitare la cucina, la cella frigorifera, gli spazi di stoccaggio: se non fosse per i manifesti di solidarietà e gli striscioni, il ristorante non è cambiato di una yota. Altra particolarità: questo McDonald’s era anche un luogo di reinserzione lavorativa per chi usciva di prigione: altra conquista dei lavoratori, «non una politica aziendale».

In Francia MacDonald’s è presente con oltre 1400 i ristoranti e ha da poco festeggiato i 40 anni di presenza; vanta oggi un fatturato di 6 miliardi di euro e ha un primato speciale: ha un suo tasso di rotazione della forza lavoro è dell’88%, molto lontano dalla media nazionale in Francia, del 13% (dati del 2017, rapporto dell’Ong React (Réseau pour l’action collective transnationale).

Al McDonald’s di Saint-Barthélémy la storia è diversa: Qui sono state assunte persone del quartiere: se, solitamente nella catena «il turnover è altissimo, qui i lavoratori sono rimasti 5, 10 e anche 20 anni: questo ha permesso loro di organizzarsi». E non si tratta di lavoratori che erano già politicizzati o sindacalizzati, ma di persone che si sono auto-formate, lavorando insieme. Le prime lotte sono state per il miglioramente delle condizioni di lavoro e la cosa ha fatto parlare, altri ristoranti volevano imitare: «A un certo punto la lotta per migliorare le condizioni di lavoro è diventata per difendere il lavoro», continua Julien mentre prepare il caffè.

Iniziata già all’inizio degli anni Duemila, è arrivata al suo culmine tra il 2017 e il 2018: «L’azienda voleva partire su altri basi e ha cercato di vendere il ristorante a una catena. Ma non ha funzionato. E alla fine è stato liquidato dal tribunale», continua. Per i lavoratori di Saint-Barthélémy la scelta aziendale di liberarsi di questo ristorante è una conseguenza della sindacalizzazione: Ralph Blindauer, avvocato dei lavoratori, parla di «spese ingiustificate e investimenti al ribasso».

L’emergenza fame nei quartieri popolari francesi

La chiusura del ristorante, fine 2019, ha preceduto di poco lo scoppio della crisi del Covid: «Tutti sono stati toccati dalla crisi sanitaria, solo che qui, nel 14° arrondissement, siamo in una zona dove la povertà è endemica, la disoccupazione è al 37%. Tanti lavoravano in settori precari, nei servizi, in interim o, semplicemente, in nero. E di punto in bianco hanno perso ogni reddito. Ci dicevano: “Non abbiamo paura di morire di Covid, ma di fame”».

Le associazioni “ufficiali” che si occupano di distribuzioni alimentari hanno chiuso completamente i primi 15 giorni di lockdown: all’inizio sono stati i collettivi e l’organizzazione informale a garantire una copertura minima; anche quando alcune strutture hanno potuto riaprire, la domanda era comunque troppo alta. Su questo vuoto si è inserito l’ex McDonald’s.

A Marsiglia, ma anche in Seine-Saint-Denis (dipartimento della banlieue parigina, tra i più poveri del paese) è stata evocata un’ «emergenza fame» durante il primo lockdown: decine di migliaia di persone che vivevano di lavori precari, in nero e nei servizi si sono ritrovate senza entrate, con l’aggravante delle scuole chiuse e, di conseguenza, pasti da preparare per i figli a casa: «Siamo arrivati a distribuire cibo a 50 quartieri di Marsiglia, oltre 40mila famiglie…», contano a Saint-Barthélémy.

Se la pressione è diminuita dopo la fine del primo lockdown, l’attività dell’Après-M resta importante: ogni lunedì circa 850/1000 pacchi familiari vengono distribuiti attraverso il «McDrive hackerato», come lo chiamano qui. La cucina viene usata la domenica per preparare quasi 500 pasti che vengono distribuiti in tutta Marsiglia.

«Sono arrivata come beneficiaria: ho perso il lavoro nel dicembre 2020, non sapevo più come nutrire i miei figli», racconta Warda, che incontro durante la mia visita a L’AprèsM: «Ho sentito parlare di questo “McDo” in un’altra associazione dove ero andata per chiedere aiuto. Il tempo per trattare il mio dossier era 15 giorni: io non li avevo. Mi hanno detto che a Saint-Barthélémy aiutavano subito». Warda vive con i figli nel XV arrondissement di Marsiglia: «Un lunedì mattina, a gennaio, alle 6 ho fatto la fila, come tutti. Qui non ti chiedo dei documenti giustificativi per dimostrare che hai bisogno, non devi spiegare nulla. Sono rimasta senza parole per la quantità di persone, arrivano da tutta la città, anche dal centro. Ho preso il mio pacco e ho deciso di tornare per dare una mano», spiega.

Ci sono circa 40 associazioni che ruotano intorno al McDonald’s di Saint-Barthélémy: doni, ore di lavoro, organizzazione, la maggior parte informale.

“L’après M” vorrebbe che McDonald’s cedesse per una cifra simbolica il locale all’associazione omonima o a una Fondazione, che si porterebbe garante del progetto. Lo scopo? Creare un fast-food sociale e solidale basato su una Scic (società cooperativa di interesse collettivo) gestita dai lavoratori, dagli abitanti del quartiere, da chi vuole partecipare. Si mangerà bio, locale, a prezzi calmierati a seconda del reddito e, soprattutto, sarà un luogo di reinserzione sociale e formazione al mestiere della ristorazione per chi ha perso il lavoro, per chi esce di prigione, per chi non ha alternative.

La realtà — mentre scrivo — è che McDonald’s non risponde alle sollecitazioni. Allo stesso tempo la struttura continua a fare quello che fa da un anno a questa parte — a cui si aggiungono atelier di giardinaggio con i bambini, di di scrittura, pasti biologici e solidali — distribuire e prepare pasti ed essere abitata da quartiere: la nuova amministrazione socialista di Marsiglia, seppur timidamente, ha manifestato simpatia per il progetto.

Una raccolta fondi online on line è attiva: il denaro così raccolto viene usato per acquistare quello che non arriva tramite doni.

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