Note di confinement#14: le rivolte e la fame
Aubervilliers, 25 avril
«Se chi ha è già fortunato nella vita si preoccupa del dopo, immagina chi non ha niente», testimonianza raccolta da Le Monde in Seine-Saint-Denis.
Da giorni si legge, si sente, si dice che “si torna al 2005”, che quello che succede “ricorda il 2005”, che “il rischio è il 2005”. Ci sono, di nuovo, scontri nelle banlieues francesi.
Nella notte tra il 19 e il 20 aprile in tante città francesi, molte nelle banlieue parigine, ma anche in altre città (Lilles, Strasburgo, Bordeaux, Toulouse…) ci sono stati degli scontri. Non sono i primi, non sono i primi di questo confinement, non sono stati gli ultimi, né i penultimi. (C’erano già stati sconti la settimana del 5 aprile, per esempio).
Su Twitter si trova una lista delle città toccate (oltre 20), annunciata come una “rivolta delle banlieues contro la polizia”: «Aulnay-sous-Bois (Seine-Saint-Denis), Egly (Essonne), Gennevilliers (Hauts-de-Seine), Fontenay-sous-Bois (Val-de-Marne), Suresnes (Hauts-de-Seine), La Courneuve, Villepinte, Saint-Ouen (Seine-Saint-Denis)». Una lista si trova anche su Valeurs Actuelles, rivista di destra, nient'affatto moderata: qui l’articolo e diversi video.
L’episodio che è stato maggiormente mediatizzato (e lungi da essere isolato) è quello di Villeneuve-la-Garenne. Qui un motociclista è rimasto gravemente ferito a seguito di una caduta in moto. Pare che il giovane andasse troppo veloce e non avesse il casco; pare che non volesse fermarsi al controllo dalla polizia. È caduto sicuramente, si è ferito certamente, e al momento si trova in ospedale. I testimoni parlano di un atto volontario da parte del poliziotto, che avrebbe aperto lo sportello dell’auto al momento del passaggio della moto. La polizia smentisce questa versione, l’uomo ammette di l’assenza di casco e la velocità.
Qui un video del post-caduta. Qui la ricostruzione di Mediapart: è partita una denuncia contro l’uomo, un’altra contro le forze dell’ordine anche.
(aggiunta postuma →)Su Mediapart un articolo firmato da Ilves Ramadami (Bondy Blog): «Purtroppo, questa storia è banale (…) Ragazzi che vengono fatti cadere dalla polizia sulle moto non è una novità. Negli anni ’90 li chiamavano “pare-choquage”: ti facevano sbandare colpendo la moto da dietro. Negli anni 2000, era un po’ più violento: abbassavano il finestrino e ti colpivano con il manganello ». Le parole sono di Samir Baaloudj, militante nei quartieri popolari.
A seguito dell’episodio, gli scontri: fuochi d’artificio, bombolette da un lato, gas lacrimogeni e LBD dall’altro. E altrove uguale, macchine e bidoni bruciati, scontri e colpi di mortaio. Gli sconti sono proseguiti nei giorni successivi.
“Banlieues” usato in questo modo, per parlare di “rivolta” e di “scontri” è un termine che a me piace poco. Perché “Banlieues” è un’espressione, un immaginario. Vuol dire tante cose.
Usato in questo modo e in questo contesto vuol dire povertà, vuol dire criminalità, vuol dire disoccupazione, vuol dire discriminazione, vuol dire isolamento. Oggi vuol dire anche fame.
Il Governo minimizza da un lato, almeno ufficialmente, le amministrazioni locali tentano di tamponare.
La porta parola del Governo, Sibeth Ndiaye: «E’ nostra opinione che, allo stato attuale, questi atti restano di debole intensità. Sono localizzati e limitati: allo stato attuale non c’è motivo di preoccuparsi».
Il Ministro dell’Interno, famoso per il pugno durissimo nella gestione delle piazze, Christophe Castaner, ha fatto, pure lui delle dichiarazioni che hanno stupito tanti. Giovedì 23 aprile su BFMTV spiega che sono tante le cause di queste violenze: «L’effetto del confinement, la durezza di questa condizione per i giovani», innanzitutto. Inoltre: «Ci sono gruppi che pensano che sia divertente attaccare la polizia, non lo è, soprattutto per loro». Castaner sottolinea inoltre la povertà in cui in tanti vivono e che questa povertà «la propria, e quella dei propri cari, può provocare rabbia, ma che la risposta giusta non è spaccare, distruggere o bruciare l’auto del vicino».
E poi il passaggio: «L’ordine repubblicano deve essere rispettato ovunque». Come lo dimostra? «In Seine-Saint-Denis sono stati fatti 220mila controlli dall’inizio del confinement, il doppio della media nazionale (…) 300 multe sono state fatte a Marsiglia, di cui il doppio nei quartieri (che vuol dire nei quartieri popolari, ndr). Dall’inizio del confinement ci sono stati 15,5 milioni di controlli e 915mila multe in tutto il Paese».
Sono quartieri più “difficili”, con alti tassi di criminalità più altri e ci vogliono più controlli, quindi più polizia? Possibile. Sono quartieri dove ci possono essere più problemi d’ordine e quindi più polizia? Possibile. Sono quartieri più poveri e quindi più polizia. Possibile?
La Seine Saint Denis, appunto. Due dati.
La Seine-Saint-Denis è un dipartimento francese che si trova a nord di Parigi. È il quinto dipartimento più popolato di Francia e il più giovane per età media della popolazione. Ha storicamente una tradizione rossa, specialmente in alcune città, feudi della sinistra dalla Prima Guerra mondiale (è il caso, tra gli altri di Aubervilliers o di Saint-Denis). Nel dipartimento ci sono diverse grandi azienda (Veolia, Vinci, BNP Paribas, SFR…) e un aeroporto (Charles de Gaulle). Ciononostante è il dipartimento con il livello di vita più basso del Paese: 3 abitanti su 10 vivono al di sotto della soglia di povertà (il tasso di povertà è del 26,9% mentre la media francese è del 14,3%. Nella città di Saint Denis è del 36%). Il tasso di disoccupazione e di criminalità sono i più alti della Francia metropolitana.
Oggi nei quartieri cosiddetti “popolari” di Francia — secondo uno dei tanti eufemismi della lingua francese — c’è una vera emergenza. Che non è nuova, ma che il confinement evidenzia e peggiora.
Chi lo dice? Il prefetto per esempio.
Il prefetto della Seine-Saint-Denis, Georges-François Leclerc, in una lettera inviata al suo omologo in Ile de France, dice: «Il rischio principale, nei prossimi quindici giorni, al di là del rischio sanitario, è il rischio alimentare. (…) Abbiamo tra le 15 e le 20mila persone (tra bidonville, alloggi di emergenza e foyer di lavoratori migranti) che non potranno nutrirsi».
Cito sempre la lettera del prefetto: «L’economia sommersa, i piccoli furti, l’uberizzazione, e il crollo dell’industria dell’interim hanno provocato un calo significativo e brutale del reddito della popolazione precaria di Seine-Saint-Denis».
Sul piano pratico: verranno assegnati gli aiuti del governo: 150 euro a nucleo famigliare che può beneficiarne, più 100 euro a bambino. I buoni alimentari da 7euro che ora sono stati distribuiti a 9500 persone negli ultimi 15 giorni verranno estesi per arrivare a toccarne 90mila. Novantamila. Perché, continua Leclerc, «quello che è tenibile in un mese di confinement non lo sarà per due».
A Bobigny, in Seine-Saint-Denis, la municipalità ha intenzione di annullare gli affitti di 400 famiglie che alloggiano in case popolari.
In Seine-Saint-Denis il Covid-19 colpisce di più
A questo aggiungo altre due cose: la Seine-Saint-Denis è anche il dipartimento dove si muore di più in questa crisi. I dati comparati della mortalità, rispetto a quelli Insee (l’Istat francese) dei due anni successivi dicono che la surmortalità del dipartimento è del 100%, ovvero il doppio del “normale”.
Altra cosa importante, i cosiddetti “cluster famigliari”: famiglie intere si trovano ospedalizzate perché le condizioni abitative non permettono l’isolamento dei malati. Perché non solo le case sono troppo piccole per il numero di persone, ma c’è un problema di insalubrità (nella città di Saint-Denis si stima che tocchi un appartamento su cinque).
«Senza dimenticare la sovraesposizione al virus del mondo del lavoro: i cassieri, fattorini, donne delle pulizie, guardiani, autisti di autobus, spazzini, addetti ai lavori pubblici, che non hanno la “fortuna” di poter stare a casa», dice Mediapart. «Il coronavirus ha evidenziato le disuguaglianze che esistevano prima. Sono le persone dimenticate dalla Repubblique che la stanno salvando».
Le violenze
In un appello, pubblicato sul Bondy Blog (media creato nel 2005 con lo scopo di dare voce ai quartieri popolari di Francia), una trentina di organizzazioni politiche, sindacali e militanti, tra cui la CGT, il Comitato Adama, NPA e Solidaires, chiedono di trattare questa rabbia dei “quartieri” per quello che è: «Queste rivolte sono l’espressione di una rabbia legittima perché nei quartieri la violenza della polizia non si ferma».
Non ci sono ancora dati ufficiali o recensiti sugli abusi delle forze dell’ordine durante il periodo del confinement. Ci sono liste informali, persone che seguono la faccenda, avvocati che difendono a titolo gratuito. Il giornalista Ariel Guez raccoglie gli eventi segnalati come abusi: in questo thread fa un discreto di lavoro di raccolta.
A titolo di esempio, giusto per capire di cosa si parla.
- 18 marzo, durante un controllo un poliziotto da’ un calcio a una persona (Asnières-sur-Seine, Hauts-de-Seine). Naturalmente le versioni sono discordanti, ma nel video la scena è chiara.
- 19 marzo, Aubervilliers, teaser e colpi su una donna (19 anni) uscita con un’attestazione scritta a mano e non stampata (cosa perfettamente legale).
Morti nei controlli di polizia durante il confinement
Tony Le Pennec su Arret sur Image mette insieme i morti nei quali sono coinvolti rappresentanti delle Forze dell’ordine durante il confimenent: cinque casi, a Béziers, Cambrai, Angoulême, Rouen e La Courneuve (Seine-Saint-Denis) dall’8 al 15 aprile.
«A parte quello di Béziers, queste morti sono per lo più trattate sui media locali, media che ricostruiscono i fatti a partire dalla sola versione della polizia, in assenza di un testimone, e nella cornice del confinement. Nessun grande media ha preso questi 5 casi in una settimana per trattarli come un fatto in sé, visto che sono tanti rispetto alla media» dice Arret sur Image.
Quale media? Dal 2018, l’IGPN (Ispezione Generale della Polizia Nazionale, una sorta di Polizia della Polizia, ndr) registra i decessi legati agli interventi della forze dell’ordine. Da luglio 2017 a maggio 2018 sono stati registrato 14 morti nel corso di interventi di polizia. Per il 2019 non ci sono dati ufficiali ma il sito Bastamag ne ha recensiti 26.
Ma è una realtà che i controlli sono più duri, che gli abusi sono maggiori in alcuni quartieri, in alcune zone. Non viene accettato un documento valido, non viene accettato un documento che contiene un errore, si stima che la spesa fatta non sia abbastanza grande, che sia troppo grande. Controlli (anche legittimi naturalmente) si trasformano in scontri facilmente.
Nota dal mio ombelico: Basta molto poco perché un controllo diventi uno scontro.
Qualche giorno fa mi hanno contestato un documento valido perché secondo uno dei poliziotti che mi ha controllato sarei stata tenuta (leggi obbligata) a fare la mia attestazione su smartphone.
Cosa falsa (conto tenuto anche del fatto che si stima un 20% almeno di popolazione che non ha un smartphone in Francia). Erano in sei a controllarmi, sei uomini. Alla terza risposta mia sull’insistenza del collega (“La deve fare su smartphone, la sua attestazione non è valida” / “No, la mia attestazione è perfettamente legale, si può fare in tre modi”) un collega è intervenuto per dire che sì, la mia déclaration era perfettamente valida. Ma questo non ha fermato il poliziotto in questione, che continuava a dirmi che non lo era.
Io non ho nessun motivo di trovarmi in uno scontro: ho da mangiare, ho una casa decente, sono mediamente di buon umore e c’era il sole. Per cui sono stata ferma nella mia posizione e appena è stato possibile me ne sono andata. Ma se capita il giorno storto, se capita la persona che ha casa ha 5 fratelli e due genitori e non può fare la spesa e ha perso il lavoro. O semplicemente, ha le palle girate, o ancora è uno stronzo, che succede?
Note e fonti:
Del razzismo sotteso e del trattamento mediatico che viene fatto sui “quartieri popolari” avevo un po’ parlato qui.
I dati sulle violenze da parte della polizia non sono raccolti in maniera abbastanza sistematica in Francia quando invece si tratta di un grosso problema, al punto che Le Monde ci ha fatto un editoriale. Il sito Bastamag parla di 676 persone morte dal 1977 al 2019 a causa di violenze della polizia.
Il giornalista David Dufresne (con Allo Place Beauvau su Twitter) raccoglie i dati a partire dalle manifestazioni dei Gilet Jeunes e li divide per tipo di violenza, Mediapart li ha messi in grafico.
Che dice la polizia, invece? «I delinquenti fanno rodei per dimostrare che sono dei pezzi grossi. Mettono in pericolo la vita dei residenti del quartiere, prendono in giro i poliziotti per aumentare la popolarità nelle loro bande e diffondono i loro exploit sui social network», dice l’Unione dei dirigenti della Sicurezza Nazionale (CSIS).
In una lettera indirizzata al ministro dell’Interno e al ministro della Giustizia, il sindacato Alliance police spiega che «la quarantena non vale per tutti. Già da molto ci sono individui nei quartieri che non obbediscono alle regole dello Stato (…) Dall’inizio del confinement sono emersi episodi di violenza a Chanteloup, Saint-Denis, Creil e più recentemente a Villeneuve-la-Garenne. L’assordante silenzio del Governo, che pensa di comprare una certa pace sociale, la dice lunga sull’abbandono dello Stato, che manda i suoi poliziotti in prima linea». Le citazioni arrivano da Paris Match.