L’islamo-gauchisme all’università
articolo pubblicato su Il Mulino (in forma breve)
Tra Mao Tse-tung e Khomeini: la caccia alle streghe nelle università
Faccio una premessa un po’ veloce e un po’ troppo semplice per cercare di contestualizzare un dibattito che sta attraversando la Francia da qualche mese in maniera particolare, ma che è come sospeso nel discorso pubblico da qualche anno. Se questo dibattito è nella pratica, zoppo e vuoto nei contenuti teorici, è invece importante perché che tocca tanti nervi scoperti della nazione, della memoria collettiva, dell’idea di società e anche, di politica in senso stretto. Il tutto in un melange difficile, davvero, da sbrogliare.
La Francia ha pagato un prezzo caro, carissimo, al terrorismo di stampo islamista: ultimo episodio lo scorso ottobre, tragedia umana, culturale e politica terrible, è stato l’omicidio di Samuel Paty, professore di storia e geografia in una scuola media a Conflans-Sainte-Honorine, in Île-de-France.
La Francia ha anche un passato coloniale complesso, lungo e problematico che si incastra male sui problemi sociali ed economici legati alla discriminazione, all’esclusione, alla pauperizzazione di alcuni settori della società molto spesso appartenenti a cosiddette “minoranze”, persone “issues de l’immigration” che vivono in zone specifiche, spesso ai margini dei grandi agglomerati urbani; la Francia ha un’idea specifica e unica di società e di nazione, quella della “République” dove tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, dove tutti hanno gli stessi diritti, una “République” che ha come divisa “Liberté, Égalité, Fraternité” a cui si sta aggiungendo, sorniona, la parola “laïcité”, presente nella Costituzione già dal 1948; la Francia è laica, per Costruzione quindi: con l’eccezione di Alsazia e Mosella, dove è tutt’ora in vigore il Concordato che comprende quattro culti (cattolico, protestante, calvinista e ebraico), lo Stato non finanzia i culti; la Francia ha anche un’identità cattolica forte e in crisi, come ovunque: fino a qualche anno fa ancora, il 56% della popolazione di dichiarava cattolico; la Francia ha anche la più grande comunità musulmana in un paese europeo (5 o 6 milioni di persone), i numeri esatti non si conoscono sapere perché la laicità francese vieta le statistiche definite “etniche”.
Negli ultimi dieci/quindici anni, almeno, il dibattito sulla laicità si è incastrato, un po’ inceppato, su quello dell’identità. E l’identità è cosa complessa e dolorosa.
L’Islamo-gauchisme” e i valori Repubblicani
L’ultimo capitolo di questa polemica, piena di passi in questo senso — potrei citare la legge che vieta nelle scuole e nei luoghi pubblici i simboli religiosi (sulle persone, non sui muri), quella per l’interdizione del velo integrale, la discussione “nazionale” su Islam e laicità voluta da Sarkozy, il dibattito sul divieto del burkini, la polemica sulla macellazione rituale halal in nome dei diritti degli animali e quella sui menù halal nelle mense scolastiche — è quella sull”Islamo-gauchisme” e i valori Repubblicani.
Il termine “islamo-gauchisme“ indica la collusione tra i gruppi di estrema sinistra e l’Islam politico: l’espressione è nato per parlare dell’area antisionista nel conflitto israelo-palestinese per definire chi, tra le altre cose, dietro la bandiera dell’antisionismo, scivolava nell’antisemitismo. Una tribuna del filosofo Pierre-André Taguieff — “inventore” del termine nel testo “La Nouvelle Judéophobie” (2002) — su Libération ne ritraccia la storia, nata all’inizio degli anni Duemila: «L’espressione si limita a registrare un insieme di fenomeni osservabili, che permettono di avvicinare sinistra e islamisti: alleanze strategiche, convergenze ideologiche, nemici comuni, obiettivi rivoluzionari condivisi, ecc.», che da una trentina d’anni, nella sua analisi, risultano apparsi.
Il concetto è polemico di per sé, per capirci: e non ha mai fatto l’unanimità in ambito accademico, al contrario. Anzi, nel linguaggio di uso comune è arrivato ad essera l’accusa “standard” rivolta ai militanti di cause diverse (migrazione, antirazzismo…) la cui posizione avvallerebbe il terrorismo islamico. Esistono dei sostenitori di questo termine: sono molto a destra se non all’estrema destra.
Se dovessi fare un paragone azzardato, “Islamo-gauchisme” sta oggi alla Francia, come il dibattito sulla “cultura gender” sta all’Italia. Non perché si assomigliano, prendetemi con le pinze, ma per il tipo di sconvolgimento semantico che una definizione più o meno inventata prende nel discorso pubblico, e per lo iato stridente che c’è tra i concetti che voleva definire e l’uso che ne viene fatto.
Faccio una cronologia breve, perché la polemica, seppur vecchia, è tornata ora a far discutere.
Il 6 ottobre scorso Gérald Darmanin, il Ministro dell’Interno, ha accusato un deputato de la France Insoumise, il partito di Melenchon, di islamo-gauchisme. Un attacco politico alla sinistra, tout-court.
Il 22 ottobre, ovvero 6 giorni dopo l’omicidio di Samuel Paty, il Ministro dell’Istruzione, Jean-Michel Blanquer, su Europe 1 ha ricordato «i danni terribili che l’islamo-gauchisme» fa all’università.
Che c’entrano le due cose, signora mia? Il Governo, sulla scia di un percorso che la Francia ha intrapreso da anni, sta riflettendo oggi sul “separatismo”, fino al punto di farne una nuova legge (considerata una delle grandi leggi del quinquennio di Macron) che ha come scopo la lotta all’islamismo radicale, male che «cancrena l’unità nazionale». All’interno del dibattito sul “separatismo” c’è quello sulla laicità e la scuola pubblica: la discussione su attentati e terrorismo a scuola, la questione delle vignette di Maometto, che i poteri pubblici hanno rivendicato come simbolo proprio e come simbolo della libertà di espressione, in opposizione all’oscurantismo religioso e al terrorismo.
Qualche giorno dopo la dichiarazione di Blanquer, una tribuna su Le Monde, firmata (anche) da intellettuali altrove rispettabilissimi — tra cui Pierre Nora o Gilles Kepel — e da tanti di area conservatrice denunciava nientepopodimeno che le «ideologie indigeniste, razzialiste e decoloniali che si sono annidate nelle università e che alimentano un odio anti-bianco e anti-francese». Il manifesto ha 100 firmatari, lo trovate qui.
Lo scorso 25 novembre due deputati di Les Républicains (LR, ex UMP, il partito di Nicolas Sarkozy), Julien Aubert e Damien Abad, hanno chiesto al Presidente dell’Assemblée nationale, Richard Ferrand, l’apertura di una missione di informazione sulle «derive ideologiche nel mondo universitario». Quali derive? «Le correnti islamo-gauchistes, tanto potenti nell’insegnamento superiore», e la «cancel culture» che secondo Aubert «censurerebbe la parola contraria o i comportamenti ritenuti offensivi». Si pensa per esempio alla conferenza di Alain Finkielkraut annullata Sciences Po nel 2019. Aubert ha designato pubblicamente 7 insegnanti (con foto) come esempio di “derive”. (Una ripresa del dibattito, tappa per tappa, qui).
Ci sono state polemiche sì, ma la cosa è passata un po’ a lato, quasi in silenzio. Chi prenderebbe sul serio una inchiesta sulle derive della ricerca universitaria in un Paese dell’Europa dell’Ovest nel 2020, signora mia?
«Chiedere un’inchiesta parlamentare su quello che gli accademici scrivono o sui loro dibattiti è senza precedenti in Francia. L’unico, di sinistra memoria, sono gli Usa del senatore McCarthy», dice su Le Monde Olivier Beaud, professore di diritto all’Università Paris-II-Panthéon-Assas. E invece.
Arriviamo al 14 febbraio 2021. La Ministra dell’Insegnamento Superiore, della Ricerca e dell’Innovazione, Frédérique Vidal, ha espresso la volontà di voler aprire un’inchiesta sull’«l’islamo-gauchisme» all’università, «sulle correnti di ricerca su questi soggetti all’università, in modo che si possa distinguere cosa è ricerca accademica e cosa è, appunto, militantismo o opinioni». Tra i filoni in questione ci sono gli studi post-coloniali e intersezionali.
Vidal ha sostenuto che «l’islamo-gauchisme è un cancro per la società nel suo complesso, che l’università non ne è impermeabile»: le affermazioni sono tratte da un’intervista della Ministra alla televisione privata CNews con il giornalista Jean-Pierre Elkabbach (la rete è accusata di sostenere l’estrema destra, il giornalista di essere vicino ai grandi industriali francesi, per dare un po’ di contesto) il quale ha incalzato la ministra con l’espressione: «C’è come un’alleanza, se mi posso permettere, tra Mao Tse-tung e lo Ayatollah Khomeini», con la quale la ministra si è trovata d’accordo.
L’idea è stata portata all’Assemblea Nazionale, dove la Ministra ha sostenuto di voler affidare questa inchiesta a l’Alliance Athéna, organismo che mette insieme alcune tra le più grandi istituzioni pubbliche di ricerca tra cui il Cnrs (Centro nazionale della ricerca scientifica) e le Grandes écoles. L’Alliance il 18 febbraio ha sobriamente replicato che un lavoro di questo tipo non rientra tra i suoi mandati. Il Cnrs, invece, se ha prodotto un comunicato dal titolo piuttosto eloquente (“L’islamo-gauchisme non è una realtà scientifica”), ha lasciato intendere che uno studio sarebbe invece possibile nel quadro della sua missione, ovvero «portare un chiarimento scientifico nei campi di ricerca toccati dal dibattito».
Per dare un po’ di contesto: la ricerca sulle questioni razziali in Francia è in realtà marginale. Secondo dati pubblicati da Mediapart, dal 1960 al 2020 questi rappresentano il 2% del totale dei lavori prodotti. A processo, dicevamo, ci sono quindi gli studi post-coloniali e intersezionali accusati, soprattutto i secondi, di rimettere termini come “identità”, “razza”, “religione” e “sesso” in discussione, creando categorie che nutrono, a loro volta, il comunitarismo e la separazione del corpo sociale.
Bisogna spiegare che non si tratta di filoni di ricerca che intendono la razza come concetto biologico ma come costruzione sociale? Sì, certamente. Ma non basta. O almeno, non è solo questo.
C’è in gioco la specificità del modello societario francese: siamo tutti uguali di fronte alla legge, l’intimo (origine, religione, orientamento etc… ) è una questione privata della quale lo Stato non si occupa, perché il suo ruolo è quello di garantire giustizia e equità.
Se è bellissimo sulla carta, nella realtà ci sono le macerie, perché la discriminazione è sì spesso basata su categorie socio-economiche ma che, guarda caso, altrettanto spesso si incastrano a perfezione su categorie sociali e culturali: la realtà fatta di persone che appartengono proprio a gruppi “minoritari”, che hanno una religione e che la praticano, che abitano territori specifici, e le cui origini non sono “gauloises”.
«Si fa portare all’università la crisi della democrazia (…), crisi che viene invece da un abuso del potere politico sulle scienze sociali. Si cerca di delegittimare e denigrare le scienze sociali con la motivazione che queste discipline svolgono pienamente la loro funzione critica in una società i cui rappresentanti politici vorrebbero nascondere l’altra faccia della medaglia: povertà, razzismo, sessismo, disuguaglianze sociali nelle scuole, nell’abitato, nel lavoro e nella cultura», commenta su Le Monde Rose-Marie Lagrave direttrice di ricerca all’Ehess.
È alla politica di regolamentare questa questione? «Ci sono conflitti di scuola, generazionali, soprattutto un movimento di resistenza a conoscenze che provengono da altrove, da altre fonti epistemiche, da settori di riferimento della conoscenza che minacciano i metodi esistenti di validazione del sapere», dice su Le Monde Marie-Anne Paveau, professoressa di scienze del linguaggio all’Università Sorbona-Parigi-Nord. Paveau sostiene che il “Manifesto dei 100” (quello di cui sopra contro l’islamo-gauchisme) è un «esempio di ripiegamento identitario dei ricercatori francesi di formazione “greco-latina”».
Lo storico Shlomo Sand ha fatto un parallelo con il termine “giudeo-bolscevico”. All’epoca, dice «si voleva, per questo tramite, fare un legame tra la rivoluzione bolscevica e i pregiudizi giudeofobici», mentre oggi si tratterebbe di «militanti di sinistra che si alleano con i musulmani nell’idea di un progetto islamista».
Che il problema sia in realtà ben separato dallo shock successivo alla terribile morte di Samuel Paty lo dice anche un altro dettaglio: il 2 ottobre 2020, quindi prima dell’omicidio, Macron ha tenuto un discorso sul «separatismo islamista» nell’ottica del progetto di legge sul separatismo che ha cambiato nome in “Projet de loi confortant le respect des principes de la République”. In quell’occasione ha sostenuto che il discorso «postcoloniale» secondo lui è colpevole di nutrire l’odio verso la République e di fomentare il «separatismo».
Come ha reagito l’università?
Una petizione ha raccolto più di 22mila firme per chiedere le dimissioni della Ministra. Tra i firmatari Thomas Piketty e tanti altri illustri nomi dell’università e della ricerca francese. La petizione non è aperta a tutti, ma raccoglie le firme di ricercatori e ricercatrici, universitarie e universitarie: in questo senso il risultato è abbastanza importante.
Qualche giorno dopo questa iniziativa, un’altra è stata lanciata contro la «caccia alle streghe di Vidal»: si tratta questa volta da 200 universitari del mondo anglosassone (tra cui Judith Butler, Frederick Cooper, Arjun Appadurai e Ann Stoler). «Dopo aver approvato una legge sul “separatismo” che ha già aumentato la stigmatizzazione dei musulmani in Francia, il Governo francese ora accusa gli accademici di polarizzare il dibattito pubblico. L’idea che gli insegnanti-ricercatori possano essere controllati con il pretesto di un “abuso militante della ricerca” è una minaccia diretta di censura che ci preoccupa», scrivono.
Il 17 marzo un’altra tribuna, firmata tra gli altri da Angela Davis, Gayatri Spivak e Achille Mbembe manifesta solidarietà ai ricercatori francesi: «Il termine relativamente nuovo di “islamo-gauchisme” riflette una più antica convergenza di ideologie di destra, coloniali e razziste che si oppongono alle lotte anticoloniali, anti-islamofobiche e antirazziste».
Sinistra e Islam politico
Se si esce dalla Francia e dal neologismo di Taguieff, una riflessione su un’alleanza tra la sinistra e l’islam politico la troviamo nella riflessione del filosofo Pascal Bruckner. Questi, nel 2006, ha ripreso ne “La tirannia della penitenza” una questione concettualizzata da Chris Harman, trotzkista britannico, che nel 1994 in un articolo, “The prophet and the proletariat”, scrive che la sinistra ha commesso un errore nel considerare i movimenti islamisti come reazionari o fascisti o al contrario, come anti-imperialisti o progressisti: «Su alcune questioni siamo dallo stesso lato degli islamisti, contro l’imperialismo e contro lo stato. Era il caso per esempio, in tanti paesi durante la Seconda guerra del Golfo. Dovrebbe essere il caso in Paesi come la Francia o la Gran Bretagna quando si tratta di combattere il razzismo. Laddove gli islamisti sono all’opposizione la nostra regola dovrebbe essere “a volte con gli islamisti, mai con lo Stato”.
Questo testo è considerato alla base dell’ambiguità. Ma, vorrei rassicurare il lettore, nessuno nel Governo Macron è arrivato a storicizzare la questione o a cercare l’origine di un’idea, errata o no. La riflessione viene, ancora una volta, dal mondo universitario.
Perché c’è un’altra questione, più stridentemente politica, ovvero lo spostamento a destra della Presidenza Macron: la Loi Sécurité Globale sulle forze di polizia; la legge sulla programmazione della ricerca che tocca l’insegnamento superiore, la riforma delle pensioni, la legge sul separatismo, tra le altre cose.
E poi, appunto, cosa non da poco: i posti chiave del Governo sono a personalità della destra. Il Primo ministro, Jean Castex (ex UMP e poi LR); Gérald Darmanin agli interni (ugualmente ex UMP e poi LR) che, en passant, è stato accusato di omofobia, stupro e stalking, o ancora Bruno Le Maire all’economia. Tanto che la cosiddetta “ombra di Sarkozy” sull’esecutivo, viene citata anche a destra. L’equilibrio, in vista delle Presidenziali è difficile: meno a destra di Le Pen, ma con il bisogno di recuperare l’elettorato che punta alla sicurezza, all’identità, alla nazione.
Per tornare allo specifico della questione: il termine “islamo-gauchisme” che ci racconta? Proprio questo spostamento a destra.
Un’analisi di David Chavalarias, direttore di ricerca al Cnrs ha studiato l’uso del termine sui social network e sul web grazie a uno strumento creato insieme al suo team per analizzare il militantismo online. L’analisi realizzata su 290 milioni di messaggi a connotazione politica a partire dal 2016, su 11 milioni di account. Il risultato? La maggior parte degli account dove il termine è stato usato sono di estrema destra, tra cui alcuni riconducibili all’alt-right.
Peggio ancora, il dibattito attuale ha una conseguenza: l’uso da parte di altri funzionari politici, ministri, giornalisti (compresa la reazione ostile e quasi unanime dell’università a queste proposte) paradossalmente sta legittimando un concetto che lo stesso milieu universitario non riconosce in quanto tale, perché non si tratta di un categoria scientifica, sociologica o politica riconosciuta.
«Secondo i nostri calcoli, i Ministri e il Governo sono riusciti a fare in quattro mesi, quello che l’estrema destra ha faticato a fare in oltre quattro anni: da ottobre 2020 il numero di tweet della sfera “standard”, ovvero non politicizzata o non riconducibile a una corrente, politica ha menzionato “islamo-gauchisme” più di quanto fosse avvenuto tra il 2016 e il 2020. Possiamo definirla una performance».