“La Famille”: un gruppo religioso che da 200 anni vive in disparte, a Parigi
Questa storia mette insieme il giansenismo, la consanguineità, la fine del mondo e un kibbutz nella Francia occitana.
«A Parigi, nell’est della capitale, in 4.000 aspettano intorno al 53, rue de Montreuil, il ritorno di Élie Bonjour, che ha promesso di incontrarli lì per condurli in paradiso», dice Jean-Pierre Chantin, ricercatore all’università Lyon 3 a Paris Match.
La Famille, la Famiglia, è a tutti gli effetti, una famiglia. Di circa 4mila persone (stima del 2021). Otto gruppi famigliari che vivono insieme (in perfetta endogamia) dal 1819 sotto lo sguardo — non sempre discreto — della capitale francese. Nel Nord-est della città, tra il Ventesimo arrondissement e il comune di Montreuil c’è un gruppo di persone, la taglia di un paesino, che da 203 anni si tiene in disparte, vive a parte.
Regolarmente, negli anni, la storia de La Famille esce sui giornali e nelle discussioni, mi dicono amici ai quali chiedo, cosa confermata dalle date delle uscite sulla stampa. Nel 2015 un ex membro de la Famille ha contattato la Miviludes, (la mission interministérielle de vigilance et de lutte contre les dérives sectaires, l’istituzione che si occupa delle sette) per denunciare La Famille e la stampa ha ripreso a parlane.
Nel 2021 è uscito il libro «La Famille — Itinéraires d’un secret» della giornalista scientifica Suzanne Privat che ha dedicato un lungo reportage a questo gruppo che vive nel suo quartiere. I figli di Privat si sono trovati a scuola con tanti “cugini” — lo stesso cognome ripetuto tante volte nelle classi negli anni, tutti cugini, ma quanti? — il cui numero e le cui somiglianze hanno suscitato la sua curiosità.
Giansenismo e Rivoluzione
Un gruppo chiuso, quindi, una comunità religiosa che ha alcuni regole fondamentali, tra cui il divieto della contraccezione e dell’aborto, e dove il matrimonio avviene solo tra cugini. Il resto è una struttura fatta di discrezione e attenzione: i membri de La Famille lavorano, vanno a scuola… ma l’interazione si ferma alla soglia della società. Nessun rapporto al di là della gentilezza e della cortesia che si deve al contesto.
Dietro questo schema c’è un struttura religiosa e famigliare — possiamo dire clanica ? — che nel 1819 si è serrata intorno ad otto coppie (Thibout, Havet, Sandoz, Fert, Pulin, Maitre, Déchelette, Sanglier) che hanno scelto di unire i loro destini aspettando la fine del tempi, il cui conto alla rovescia sarebbe iniziato con la Rivoluzione francese. Non si puo’ entrare a far parte del La Famille: ci si nasce, motivo per il quale non esiste nessun tipo di proselitismo.
I membri de La Famille devono portare su di sé una preghiera — « La lettre de mon père », del 1742 — che devono conoscere a memoria, Dio è “Bon-papa”, i primi fondatori sono gli “zii”.
Le attività sono tutte collettive: pic-nic i fine settimana, serate al bistrot (solo tra uomini), le gite. L’alcool non solo è ammesso, ma fa parte integrante delle festività.
I morti vengono seppelliti insieme, ma solo gli uomini partecipano alla cerimonia, che è gestita sempre dalla stessa agenzia di pompe funebri. I membri de La Famille non possono lavorare né nel campo giuridico, né in quello medico, ambiti riservati a Dio e alle sue leggi. I matrimoni vengono decisi molto presto — ci sono circa 60 persone per classe di età e si cerca di incrociare le persone in modo che la consanguineità sia la più debole possibile — e intorno ai vent’anni si celebrano, senza obbligo di registrarli all’anagrafe.
La struttura religiosa de La Famille si lega al Giansenimo convulsionario.
Il Giansenismo è una corrente del cattolicesimo che crede che la grazia sia innata, Dio decide chi salvare e chi no, le nostre azioni servono a poco o nulla (se non a manternersi nella grazia di Dio). Il Giansenismo fu molto popolare in Francia, al punto che fu dichiarato fuori legge da Luigi XIV, che aprì la caccia all’eretico.
Tra questi, François de Pâris, diacono a Parigi, sulla cui tomba a Saint-Médard, i giansenisti parigini vivono esperience di trance e convulsioni. Le loro riunioni furono vietate, ma i “convulsionari di Saint-Médard”, convinti di essere i veri fedeli, si diffusero in tutta la Francia, continuando il loro culto. Tra loro, François Bonjour dal cui culto nasce il “bonjourismo”, una deviazione dei convulsionari.
Pare che Bonjour abbia convinto, nel 1787 una donna a tagliarsi i piedi durante una cerimonia. Rifugiato a Parigi, François Bonjour ebbe un figlio, Elia, che chiamò “il figlio di Dio” e che diventa egli stesso oggetto di un culto appassionato. Elia appare nei Miserabili di Victor Hugo: avrebbe lasciato i suoi seguaci per la rivoluzione. Questi invece continuano i loro culto, spostandolo verso Jean-Pierre Thibout, il portiere della famiglia Bonjour, che diventa il loro nuovo leader. Quest’ultimo incontra François Havet, un altro fedele, e i due suggellano la loro alleanza sposando i loro figli.
Un setta?
Una setta? Sì e no. Non per la legge francese almeno, che si limita alla definizione di un “movimento settario”: «La legge reprime tutte le azioni lesive dei diritti umani o delle libertà fondamentali, che costituiscono una minaccia all’ordine pubblico, o che sono contrarie alle leggi e ai regolamenti, commesse nel contesto specifico del controllo mentale», recita la definizione della Miviludes.
Se il non rispetto del libero arbitrio e il controllo sono una regola ne La Famille, non c’è invece nessun atto che minacci l’ordine pubblico e nessuna violazione alle regole. Primo fra tutti, il matrimonio tra cugini non è un reato benché, all’interno del La Famille, i matrimoni vengano celebrati con un rito religioso e non vengano registrati all’anagrafe.
E, naturalmente, nessun proselitismo: ne fai parte solo se ci nasci. E ne esci se non ne accetti le regole. In quel caso ne nei fuori, completamente, nessun contatto è più possibile. L’inchiesta di Privat è stata possibile proprio perché ha potuto parlare con membri de La Famille che l’hanno lasciata e con grande dolore.
E il kibbutz?
Il kibbutz di Pardailhan
Nella primavera del 1960 La Famille ha tentato anche l’esperienza del kibbutz, presa in prestito dalle comunità agricole israeliane. A Pardailhan, vicino a Béziers, nel Sud del Paese un gruppo di ottanta parigini, sotto la spinta di Vincent Thibout, hanno messo insieme i loro beni e fondato una comunità agricola.
Gli uomini lavorano con attrezzature moderne per l’epoca, hanno un pollaio modello, gestiscono una sartoria nella quale le donne producono abiti per le “signore di Parigi” e hanno una piccola fabbrica di grucce. La domenica alle 10 ha luogo il “consiglio di famiglia”, dove si discutono, tra l’altro, questioni finanziarie. Nessuno percepisce uno stipendio, tutto è in comune e ciascuno ha quel che gli è necessario per vivere. Sul modello israeliano i bambini vivono tra di loro, non con i genitori, con i quali passano la domenica e una notte a settimana.
L’esperimento è durato solamente tre anni (1960/63): l’agricoltura non ha dato i frutti sperati, le attività artigianali non bastavano alla sussistenza dei membri… ciascuno quindi è tornato (più o meno) alle sue attività precedenti.
Cose che ho letto/visto/cercato
https://saint-pons-de-thomieres.pagesperso-orange.fr/kibboutz-pardailhan-lemonde.html
https://saint-pons-de-thomieres.pagesperso-orange.fr/kibboutz-pardailhan-lemonde2.html