Il tuo smartphone NON ti ascolta, le tue app NON ti spiano. Non ne hanno bisogno, stanno solo aggregando dati

Francesca Barca
6 min readJun 20, 2021

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foto mia

(Ho letto questo thread un paio di settimane fa e lo volevo tradurre. Voilà)

Come fa il nostro smartphone a farci vedere pubblicità di cose delle quali abbiamo parlato a voce con qualcuno, ma che non abbiamo cercato in rete? In altre parole, il nostro smartphone ascolta le nostre conversazioni?

Robert G. Reeve si occupa di privacy e tecnologia, parte del suo mestiere è far rispettare alle aziende le leggi sulla protezione dei dati personali.

Un suo tweet del 25 maggio è diventato virale ed è stato ripreso da diverse testate perché risponde a una domanda che tutti e tutte ci siamo fatti quando vediamo apparire la pubblicità — su Facebook, Instagram o ancora mentre navighiamo sul web — di una marca della quale abbiamo parlato con qualcuno ma sulla quale non abbiamo cercato informazioni on line: «Il nostro smartphone ascolta le nostre conversazioni?»

Reeve, ci spiega, almeno in parte, come funzionano gli annunci pubblicitari on line.

Reeve, tornato da una vacanza, vede una pubblicità sul suo smartphone: «Sono tornato dopo aver passato una settimana a casa di mia madre e vedo la pubblicità della sua marca di dentifricio. Non abbiamo mai parlato di questa marca, né l’abbiamo cercata su Google». Com’è possibile quindi?

Prima di tutto, dice Reeve, «le applicazioni sul tuo smartphone non ti spiano: è una teoria un po’ complottista che è stata più volte smontata con esperimenti».

Ma, dice «onestamente, le aziende non hanno bisogno di spiarti perché tutti i dati che dai loro senza pensarci si possono elaborare in maniera molto più economica e sono molto più importanti».

Come funziona? (Seguo il thread di Reeve, lo presento semplicemente per punti, traducendolo)

  1. «Le app che hai sul tuo smartphone raccolgono tonnellate di dati dal tuo telefono. L’ID unico del dispositivo. La tua posizione. I tuoi dati demografici.»
  2. «Gli aggregatori di dati pagano per raccogliere dati da TUTTO. Quando, per esempio, uso la mia carta sconto al negozio di alimentari?Ogni acquisto? Sì, anche quello è un set di dati in vendita.»
  3. «Le aziende posso riuscire a matchare dati che arrivano da acquisti diversi. Possono associare i miei acquisti da Harris Teeter (un supermercato, ndr) fino al mio account Twitter perché ho dato a entrambe queste società il mio indirizzo e-mail e il mio numero di telefono e ho accettato la condivisione di dati quando ho accettato i termini di servizio e la politica sulla privacy.»
  4. «Ma è qui che diventa “folle”. Se il mio telefono si trova regolarmente nella stessa posizione GPS di un altro telefono, i due telefoni comunicano. Cominciano a ricostruire la rete di persone con cui sono regolarmente in contatto.»
  5. «Gli inserzionisti possono incrociare i miei interessi e la mia cronologia di navigazione e di acquisti con quelli delle persone intorno a me. Possono quindi mostrarmi annunci diversi, basati su chi ho intorno. Famiglia. Amici. Colleghi.»
  6. «Per questo mi verranno proposte pubblicità su cose che NON VOGLIO, ma che qualcuno con cui sono in contatto regolarmente potrebbe volere. Questo per indurre il mio comportamento a interagire su quella marca. Il telefono non ha bisogno di ascoltarmi per questo: sta solo confrontando i metadati aggregati.»
  7. «Tutte queste cose sono note, le persone ne parlano continuamente, solo che non importa a nessuno, abbiamo deciso che la nostra privacy non è così importante. È una battaglia persa. Abbiamo già dato via troppo di noi stessi.»
  8. «Quindi. Le aziende conoscono la marca del dentifricio di mia madre. Sanno che ero a casa di mia madre, conoscono il mio ID Twitter. E ora ricevo su Twitter la pubblicità del dentifricio di mia madre.»
  9. «I tuoi dati non riguardano solo te. I tuoi dati hanno a che fare sul come possono essere usati contro ogni persona che conosci e anche contro persone che non conosci. Per modellare il comportamento inconsciamente.»
  10. «Gli ultimi aggiornamenti del sistema operativo di Apple permettono di bloccare il tracciamento delle app, e Facebook è si arrabbiato. Ti stanno supplicando di cliccare su “accetta” e tornare al solito lavoro.»
  11. «Blocca gli annunci di tutte le app. Non riguarda solo te: i tuoi dati rimodellano internet.»
  12. «Internet non sarà mai più il posto stravagante che era quando avevo un Livejournal e la gente condivideva gif proteiformi sotto forma di YTMND. Il business è arrivato a succhiarne la gioia (e i tuoi soldi). Almeno rendigli (alle aziende) più complicato il lavoro.»

Pensiamo che i nostri telefoni ci spiino perché «è una spiegazione semplice a una realtà complessa», ha detto Reeve al magazine Newsweek, che ha ricostruito il dibattito (comprese le critiche). «Due ricercatori della Carnegie Mellon hanno stimato, nel 2012, che se si leggessero tutte le politica sulla privacy che si accettano in un anno, ci vorrebbero 76 giorni (…) in 9 anni credo che il numero sia più alto. Ma chi ha tempo? Io lo faccio di lavoro e non ho tempo», ha continuato.

Detto questo — questo lo aggiungo io — quando scarichiamo un’applicazione guardiamo, almeno, a quali applicazioni chiede l’accesso. Se un’applicazione che serve come torcia vuole avere accesso alla nostra rubrica c’è un problema.

Inoltre, chiudiamo gli accessi alla geolocalizzazione alle app delle quali non abbiamo bisogno.

Qui il thread completo:

Twitter

E qui una domanda su Alexa che segnalo (sic)

Non sono sicura che questo risponda a tutto, ma sulla questione dell’ascolto una cosa si può aggiungere: Siri, Alexa e compagnia ascoltano sì le nostre conversazioni, le usiamo per dare ordini vocali, sono fatte per quello.

Ma quei dati non vengono usati (stando alle dichiarazioni) per del targetting pubblicitario, ma per alimentare l’algoritmo dell’Intelligenza artificiale che le fa funzionare, e che vorrebbe farle funzionare sempre meglio. Più dati ci sono e meglio funziona, più è allenato e più è flessibile e preciso nel rispondere meglio a nuove domande.

Ma. C’è un ma.

Questo articolo di Mediapart, intitolato “Assistente vocale di Apple, il calvario dei lavoratori” racconta il calvario, appunto, dei lavoratori della Apple in Islanda: si tratta di persone che si occupavano di ascoltare le registrazioni degli ordini Siri (o delle conversazioni registrate per sbaglio, lasciando Siri acceso) per ritrascriverle, correggerle e confrontare il buon funzionamento o meno rispetto alle risposte che Siri dava.

Nel “calvario” di questi lavoratori non ci sono solo le condizioni di lavoro alle quali erano sottoposti, ma il fatto, dicono, di dover ascoltare conversazioni troppo private e dolorose di persone che non pensano che potrebbero venire ascoltate. Non per spiarle, ma per alimentare un algoritmo. Ma si tratta di dati tuoi, intimi, che sono salvati nel server (leggi computer) di qualcun altro.

Bisogna avere molta fiducia in un’azienda, o no?

NB: Siri è aperto (leggi attivo) di default su tutte le app del vostro Iphone. Per bloccarne l’accesso bisogna entrare in ogni app, una per una, e negarlo. Ci vogliono 4 minuti.

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